Il crollo del prezzo del petrolio durante i mesi più bui della pandemia ha fatto passare inosservati i potenziali effetti negativi su economia, lavoro e ambiente dovuti agli effetti della crisi sul gas naturale. La fonte energetica un tempo considerata pulita ma oggi annoverata tra le fonti fossili da istituzioni ed esperti, lo scorso anno “ha più che raddoppiato la quantità di capacità di terminali di gas naturale liquefatto (Gnl) in costruzione”, secondo il rapporto “Gas Bubble 2020” dei ricercatori riuniti nel Global Energy Monitor. Ma i lavori iniziati per i gasdotti rischiano di concludersi in un nulla di fatto.
Il gas come “soluzione ponte”
Nell’anno in corso, infatti, “il crollo della domanda globale di petrolio e gas e le restrizioni nei cantieri legate alla pandemia hanno costretto molte aziende a dichiarare ritardi” e a “rivedere le decisioni finali di investimento”. Motivi che stanno spingendo Governi e istituzioni europee a sussidiare il gas nell’ottica della transizione ‘verde’, che deve comunque partire dall’abbandono del carbone, considerato la fonte più inquinante. Da qui gli incentivi alle soluzioni alternative come il gas, ritenuto da tanti come una “soluzione ponte” verso fonti più pulite. Tra queste ultime si cita spesso l’esempio dell’idrogeno ricavato da fonti rinnovabili, ma il cui sviluppo su larga scala richiederà ancora almeno un decennio, secondo gli osservatori.
“Emissioni fino al 16% in più rispetto al carbone”
Un piano d’azione che non convince gli esperti del Global Energy Monitor, i quali avvertono che “il passaggio dal carbone al gas non sembra offrire una strategia utile per ottenere rapidi tagli delle emissioni di gas serra per raggiungere la neutralità”, intesa nel Green Deal della Commissione europea come l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra. “Le emissioni del ciclo di vita per l’energia prodotta dal Gnl – comprendendo le recenti stime sulla dispersione di metano in tutta la filiera – vanno dal dal 29% in meno al 16% in più rispetto al carbone”, si legge nel rapporto.
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I rischi per il clima e per l’economia
Notizie che interessano l’Italia, che con 10,9 milioni di tonnellate annue di capacità è il terzo importatore di Gnl dell’Ue alle spalle della Francia (26,5) e Spagna (45,7). Il Belpaese spera di superare i 17 milioni di capacità grazie ai progetti presentati per la costruzione di nuovi gasdotti. Una strategia pro-gas replicata da tanti altri Paesi Ue, a partire dalla Germania. Peccato che “questo boom ‘edilizio’ – scrive il Global Energy Monitor – rischia di annullare ogni possibilità di limitare il riscaldamento globale al punto di non ritorno di 1,5°C identificato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc)”. Ma “anche se misurato rispetto ai bilanci dei propri sostenitori finanziari e politici, il futuro di molti di questi progetti è debole a causa dei bassi prezzi del gas causati dall’eccesso di offerta globale, ora aggravato dalla pandemia di Covid-19”, si nota ancora nel rapporto. “Nel complesso – concludono gli esperti – il tasso di fallimento per i progetti di terminali di esportazione di gas naturale proposti per il periodo 2014-2020 è del 61%”.
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